OLOCAUSTO, FACCIAMO CHIAREZZA
In tema di Olocausto è doveroso denunciare l’indifferenza di chi sapeva, vedeva e volgeva lo sguardo altrove, ma è altrettanto giusto evidenziare l’ipocrisia di quelle nazioni che nulla fecero per evitare la persecuzione ebraica a opera del regime hitleriano e che, in definitiva… la favorirono.

Giunto al potere, Hitler attuò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania. L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei tedeschi trovò, però, forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, dove i trentadue Stati aderenti alla Società delle Nazioni avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni.
L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei tedeschi trovò, però, forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, dove i trentadue Stati aderenti alla Società delle Nazioni avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni.
Le uniche nazioni che accettarono di accogliere i rifugiati ebrei furono la Repubblica Dominicana e la Bolivia. Tutte le altre, con motivazione che oggi potremmo definire sconcertanti, rifiutarono ogni forma di accoglienza, soprattutto America, Francia e Gran Bretagna, le nazioni che maggiormente si erano prodigate – a parole – a favore degli ebrei.
L’Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza (era uscita dalla Società delle Nazioni l’anno prima), da anni attuava una politica di ospitalità e assistenza nei confronti degli ebrei attraverso strutture create allo scopo che rimasero attive anche dopo, e nonostante, la promulgazione delle leggi razziali (la situazione cambiò drasticamente dopo il 25 luglio 1943 con la caduta del regime quando l’Italia diventò, di fatto, un protettorato tedesco).
La Conferenza fu promossa dal presidente statunitense Roosevelt su pressione della comunità ebraica americana. Nelle intenzioni del capo della Casa Bianca l’iniziativa avrebbe dovuto tenersi in Svizzera, la sede naturale per incontri di questo tipo ma Berna oppose un netto rifiuto per non sentirsi poi obbligata a partecipare alla ripartizione delle quote. I lavori si tennero quindi nella cittadina francese di Evian dal 6 al 15 luglio del 1938.
Hitler accolse con favore l’iniziativa (mandò degli osservatori) affermando che se le nazioni partecipanti accetteranno di prendere gli ebrei, li aiuterebbe ad andarsene. Al riguardo, sono state profetiche le parole del suo Ministro degli Esteri Von Ribbentrop:
«Vorremmo tutti sbarazzarci dei nostri ebrei ma la difficoltà risiede nel fatto che nessun Paese è disposto ad accoglierli»
La conferenza avrebbe dovuto dare una risposta umanitaria al dramma che gli ebrei stavano vivendo sotto il regime hitleriano, in realtà fu la saga dell’ipocrisia con i delegati impegnati più a giustificare il loro rifiuto che a trovare soluzioni. Il rappresentante francese motivò il suo diniego con queste parole:
«La Francia aveva raggiunto il punto estremo di saturazione riguardo all’accoglienza di rifugiati»
con riferimento ai 10mila ebrei accolti nel 1933 che vorrebbe fossero rimpatriati in Germania. Gli fece eco il delegato dell’Australia Thomas Walter White che, al secondo incontro pubblico del 7 luglio 1938, disse:
«Ad oggi non abbiamo problemi razziali. Per questo, non siamo desiderosi di importarne uno con programmi d’immigrazione di stranieri su larga scala»
Mentre il delegato del Canada alla domanda su quanti ebrei il suo Paese fosse disposto ad accogliere rispose:
«Per noi uno solo sarebbe di troppo»
La Gran Bretagna non fu da meno, si dichiarò pronta ad accettare gli ebrei, ma solo i bambini e non i loro genitori perché:
«Un improvviso afflusso di rifugiati ebrei potrebbe suscitare sentimenti antisemiti»
Gli Stati Uniti, dal canto loro, si dissero disposti ad accogliere gli ebrei a patto che la polizia tedesca rilasciasse per ognuno di essi un certificato di buona condotta. Richiesta cinica e pretestuosa: sapevano benissimo che in Germania gli ebrei erano considerati alla stregua di criminali e parassiti e che, di conseguenza, mai e poi mai le autorità di polizia avrebbero rilasciato un documento in evidente contrasto con la deformata visione hitleriana del mondo ebraico.
La Svizzera, che come detto aveva rifiutato di ospitare la Conferenza, per bocca del suo rappresentante, il dottor Heinrich Rothmund, affermò di permettere il transito degli ebrei ma non alla loro permanenza sul suolo elvetico e, paradossalmente, nel rivendicare la tradizione liberale di accoglienza di rifugiati politici, chiese di attuare misure per:
«Proteggere la Svizzera contro l’invasione di Ebrei»
A tale scopo il delegato svizzero chiese alle autorità del Reich di segnalare i cittadini di religione ebraica con una “J” (Judei) sul passaporto.
Intanto, lunghe file di ebrei stazionavano davanti alle ambasciate e ai consolati delle nazioni estere a Berlino e a Vienna per ottenere un visto d’ingresso che veniva quasi sempre negato (come nel caso del padre di Anna Franck che l’aveva inutilmente chiesto agli uffici di rappresentanza degli Stati Uniti). Di tanto in tanto qualche permesso veniva rilasciato ma solo a persone importanti come intellettuali e scienziati, grazie anche alla mobilitazione del mondo accademico in loro favore.
La volontà emersa dalla Conferenza di Evian era di abbandonare gli ebrei tedeschi al loro destino. Non a caso la futura premier israeliana Golda Meir, che presenziò alla conferenza a nome dell’Yishuv (organizzazione di coloni ebrei in Palestina), non fu autorizzata a parlare ai delegati.
Nella dichiarazione finale della Conferenza, tra acrobazie dialettiche e frasi di circostanza, è mancata la condanna della politica antiebraica del governo tedesco, forse per non inimicarsi il Terzo Reich o forse perché, in fondo, ne condividevano la visione. Cosa avvenne dopo lo sappiamo[1]
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[1] In passato ci fu un altro infruttuoso tentativo di affrontare la questione ebraica a livello internazionale quando, nel 1933, il Consiglio della Società delle Nazioni nominò il diplomatico americano James G. McDonald “Alto commissario per i rifugiati (Ebrei e altri) proveniente dalla Germania”. Si dimise due anni dopo rendendosi conto che nonostante l’aggravarsi della situazione in Germania a seguito della promulgazione delle “Leggi di Norimberga” che introdussero ulteriori restrizioni contro gli ebrei, non vi era alcuna volontà di affrontare seriamente il problema da parte degli Stati membri. Per ulteriori approfondimenti consigliamo la lettura della relazione del Professor Giandonato Caggiano tenuta presso l’Università Roma Tre nell’aprile del 2020 dal titolo “Dalla Conferenza di Evian all’Olocausto. Il crimine internazionale di genocidio”.